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Un profilo, un corpo, epifanica apparizione che traspare attraverso le velature di matrice veneziana: è questa la poetica sognante, a tratti di ascendenza preraffaellesca, dell’artista trevisana Betty Vivian, che il 27 agosto prossimo, alla 59^ Biennale D’Arte di Venezia, nel Padiglione Nazionale Grenada (sestiere di Castello, via Garibaldi 1814, aperto dalle 11:00 alle 19:00, ingresso libero), terrà la sinossi dell’opera “Anya Duna, maternità”. Olio su tela 70x100 del 2019, un’opera ispirata al "Bel Danubio blu" in occasione della Biennale di Budapest, parla di maternità, di sogni che hanno il sopravvento sulle paure e sulle incertezze della barca traballante della vita, che infine va avanti nonostante tutto, sulla lenta e profonda corrente del fiume blu.

La sinossi sarà curata dal critico d’arte Prof. Siro PERIN, con lo scopo di illustrare l’opera al pubblico internazionale in visita al Padiglione, in modo da offrire una visione d’insieme dell’opera stessa e dell’artista (dal greco [syn] significa “con”, “insieme” e [òpsis] significa “occhio” e “vista”. Quindi “visione d’insieme”).

Vivian, artista con un profondo legame con il Brasile, terra che l’ha ospitata per lunghi anni e che irrompe nelle sue coloratissime tele con la tradizionale dicotomia saudade/allegria, qui interpreta la maternità come culla di inclusione e certezza di accoglienza, conquistata serenità dopo la tempesta emotiva che segue ad eventi imprevedibili, che sempre mettono alla prova l’essere umano, e l’incertezza della vita futura.

«I paesaggi e le ambientazioni oniriche di Betty Vivian – spiega DANIELE RADINI TEDESCHI – trasportano l’osservatore nella dimensione del viaggio verso mete lontane, tra foreste lussureggianti e specchi d’acqua limpida. Usando come strumenti la pittura a olio e l’acquerello, Vivian dipinge brani del suo passato, trasferendo su tela le sensazioni e le emozioni vissute a contatto con persone e luoghi a cui dimostra, nel profondo, di appartenere», dove proprio l’acqua è l’elemento naturale di maggiore ispirazione per il suo valore simbolico e la sua capacità di rappresentare il nostro eterno divenire, quel movimento necessario all’emozione, perfettamente colti dall’artista.

«La trascrizione delle emozioni e dei sentimenti che l’artista prova nei luoghi ha qualcosa di familiare: nonostante la sua cifra sia originale – scrive di lei VITTORIO SGARBI – non è una paesaggista tradizionale, riesce a comunicarci qualcosa che è già dentro di noi. La maturità della sua ricerca è dunque una felicità espressiva immediata, in cui non è necessario premeditare l’immagine, ma questa nasce naturalmente come un’espansione, come un prolungamento del proprio corpo e delle proprie emozioni”.

La tecnica utilizzata è materica, le pennellate sono pastose e dense, successivamente il colore viene esteso e diluito diventando fluido, le forme si dissolvono per diventare un amalgama cromatico che sfiora l’astrattismo. La pennellata risulta così molto libera grazie al minimo riferimento a forme reali, sembra che l’autrice si lasci guidare dal puro piacere di spalmare colori sulla tela.

L'artista si esprime soprattutto con la pittura ad olio e con l’acquerello, prediligendo soggetti formali e ambientazioni paesaggistiche a cui affida il compito di esprimere, attraverso ricorrenti simbolismi, il suo ricco vissuto di emozioni. Le sue opere sono rappresentate da colori vivi, trasparenti, quasi liquidi, e da caratteristiche colature che l’artista sfrutta e controlla con maestria.

Il paesaggio (soprattutto tropicale) è usato come pretesto per trasmettere alcune metafore care all’artista, così che gli immancabili e quasi trasparenti soggetti umani rappresentati vengono immersi in atmosfere fantastiche, oniriche: qui le figure si insinuano silenziose e vagano solo apparentemente senza un ruolo preciso, sempre attirando lo sguardo dello spettatore.

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