"Un ricordo molto nitido che mi strappa sempre un sorriso è stato quando mia nonna mi regalò una cartellina di colore blu che conteneva tutti gli accessori per il ricamo ed io inizi a cucire con lei, in Agosto, su un balcone di Roma." Arianna Di Lembo, 40 anni, ci racconta della sua eterna passione per la moda diventata una professione a 360 gradi, che la vede impegnata tra teatro, cinema, sfilate ed insegnamento.
Qual è stato il tuo percorso accademico?
Come percorso accademico io intendo la formazione professionale aldilà delle certificazioni, penso sia molto più importante l'esperienza. Il mio, ad esempio, è iniziato quando avevo quattro anni, vengo da una famiglia di sarte e già da bambina mi ritrovavo a giocare tra stoffe e i ricami. Inteso nella forma tradizionale non l'ho infatti intrapreso. Nel 98', quando ero ancora alle superiori c'era un sistema scolastico chiamato terziaria che permetteva ai giovani di affacciarsi al mondo del lavoro. Proprio in quell'occasione conobbi uno stilista spagnolo, molto creativo, che mi prese a lavorare con lui per quattro anni. Dopo questo intenso periodo di formazione avevo però esigenza di certificare quello che sapevo fare e quindi tutti i diplomi e i vari corsi, ad esempio quello per taglio storico, sono arrivati dopo. Vado molto fiera dell'ultimo master a cui ho preso parte , grazie al quale mi sono confrontata con dei costumisti di fama internazionale tra cui il premio oscar Gabriella Pescucci, Carlo Poggioli e poi Alberto Spiazzi, al quale mi capita spesso di fare da assistente.
Ti dividi tra teatro e cinema, quale ambito preferisci?
Ho lavorato a teatro per tanti anni, solo una volta aver conseguito il diploma nel 2017 all' A.S.C (Associazione Italiana Scenografi, Costumisti e Arredatori) ho iniziato a muovere i primi passi sui set cinematografici. In totale onestà devo dire che questi primi passi non li ho sentiti totalmente miei. Adoro il teatro, amo l'odore di quel meraviglioso spazio, uno spazio che si trasforma in realtà differenti in pochi attimi, amo lo scricchiolio del palco e le luci che danno calore, amo anche il silenzio, mi emoziona e mi commuove. L'esperienza teatrale è sicuramente quella che preferisco ma è la meno proficua. il teatro è povero, non lascia spazio a tutti e si lavora poco e niente, soprattutto nei teatri minori. Non odio lavorare nel cinema, sia ben chiaro, è solo che non mi dà le stesse emozioni.
Oltre ad essere una sarta sei anche una stilista e da due anni hai deciso di dedicarti alle sfilate, perché questo cambio di rotta?
Lo stilista che mi ha formata faceva moda ma con un retrogusto di costume. In quel periodo ho iniziato a partecipare alle prime sfilate da assistente. Il fatto è che io adoro tutto ciò che si può toccare e modellare con la stoffa, che si tratti di costume o alta moda, sono cose diverse ma che viaggiano parallelamente. Questo cambio di rotta è stato un caso. Hanno iniziato ad invitare me e i miei abiti a partecipare alle sfilate. In questi ultimi due anni ho ripreso a sfilare dopo tanto tempo, ma questa volta da protagonista. Mi lusinga essere richiesta e mi elettrizza l'idea di sottoporre allo spettatore lo story telling della mia collezione, ho qualcosa da raccontare e voglio essere ascoltata!
Il tuo stile Gotico Dark Chic è inconfondibile, in che modo ti rappresenta?
Come ho detto prima le mie non sono semplici sfilate ma performance durante le quali mi rivolgo spesso alle donne vittime di violenza, perché purtroppo so cosa vuol dire. Il nero è un colore che mi ha sempre accompagnata perché nel buio c'è più serenità e silenzio rispetto alla luce e al rumore del giorno. La mia concezione di dark si allontana dagli estremismi punk, emo o heavy. Lo vedo sotto una chiave molto più elegante e sofisticata, come un luogo dove risiedono tutti i colori, le speranze, i sogni e che mi rappresenta appieno.
Sei anche docente di sartoria e modellistica, è un lavoro che ti soddisfa?
Molto. L'insegnamento è qualcosa che mi viene spontaneo, ancora oggi ho allievi che mi chiedono consigli e pareri a distanza di anni. Mi piacciono il contatto e la comunicazione costruttiva perché penso che dagli incontri e dallo scambio possano nascere delle cose belle e io sono una fan delle cose belle. Insegnare, trasmettere, formare non è solo una cosa che fa crescere l'altro, si cresce insieme e con soddisfazione.
Credi ci sia attenzione in Italia a livello istituzionale nel promuovere questo mestiere?
In Italia viviamo di rendita, siamo eredi del made in Italy, dei grandi artisti e degli artigiani. Con il tempo ci siamo imbastarditi, l'artigianato è in calo, e non perché non voglia esistere, semplicemente la moda viaggia veloce e l'artigiano ha spazi e tempi non adatti. Non posso dire che non ci sia attenzione a livello istituzionale, i corsi di formazione sono tanti e di vario genere, molti però non sono alla portata di tutti e non permettono a chi ha talento di emergere. Lo stato dovrebbe tutelare di più i talenti nascosti o costretti a rinunciare, dovrebbero esserci molte più possibilità. E' una frase fatta ma le cose non sono più come una volta, bisognerebbe ricominciare da capo, iniziare dalla formazione.
Cosa hai in cantiere? Quali sono i tuoi progetti futuri?
La situazione che stiamo vivendo oggi non mi da molto spazio per pensare al futuro. Un progetto che seguo ora è quello di cucire le mascherine per le persone e gli ospedali, a titolo gratuito. Tutte le sfilate, i concorsi e gli shooting che avevo in agenda sono ovviamente saltati. Ho un sogno nel cassetto però! Quello di poter creare opportunità attraverso delle associazioni per le donne vittime di violenza domestica, formarle nella sartoria e dare loro la possibilità di creare un'impresa, ecco questo è un progetto che vorrei riuscire a realizzare.