Ipnotico. Erotico. Ossessivo. Sensuale. Sono alcuni dei termini che da sempre siamo abituati ad associare al “Bolero”, il celeberrimo brano di Maurice Ravel che sabato 30 aprile, alle ore 21 sarà eseguito al Teatro Goldoni in una serata speciale della Stagione sinfonica.
Originale il programma scelto per l’occasione da Mario Menicagli, che sarà alla guida di una grande Orchestra congiunta del Teatro Goldoni e del Conservatorio Pietro Mascagni e che vedrà danzare sul ritmo inarrestabile del Bolero una coppia di giovani ed esplosivi ballerini come Serena Marchese e Raffaele D’Anna.
Serena Marchese, è nota al grande pubblico per essere stata anche una delle ballerine di punta protagoniste di Amici, il talent show di Maria De Filippi ed in programmi televisivi (come “Domenica In”) trasmessi da Rai 1 e Rai 2. Importanti esperienze teatrali (dallo scorso anno fa anche parte della compagnia del Balletto di Roma), hanno ulteriormente evidenziato il talento e l’eleganza di questa giovanissima artista siracusana (classe 2000) che darà anima e plasticità fisica ad una danza che affascina fin dalla sua prima apparizione assoluta, quando Ida Rubinstein (che aveva commissionato l’opera) infiammò il 22 novembre 1928 il Palais Garnier di Parigi interpretandola su un tavolo tondo circondata da figure maschili sempre più sedotte dalle sue movenze ritmiche su un tema entrato a far parte della storia della musica.
In perfetto e complice equilibrio con la Marchese, apprezzeremo l’intensità di un danzatore versatile e sempre pronto a nuove sfide come Raffaele D’Anna, che oltre a partecipazioni in programmi televisivi, annovera premi e riconoscimenti in concorsi di fama internazionali tra cui una borsa di studio per la Royal ballet and London Contemporary Dance school.
Di soli cinque anni successivo al Bolero è quell’autentico divertimento musicale del Concerto per pianoforte con accompagnamento di orchestra d'archi e tromba n.1 op. 35 di Dmitri Shostakovich che aprirà la serata e che vedrà come solisti Lucrezia Liberati al pianoforte e Luca Betti tromba.
«Voglio difendere il diritto di ridere nella musica seria!»: fu lo stesso Shostakovich a confidare quale fosse lo spirito con cui nel 1933 in poco meno di due mesi a Leningrado compose questo lavoro che lo vide tra l’altro protagonista al pianoforte la sera del debutto; oltre venti minuti di musica capaci di passare da citazioni di temi e melodie tratte da opere di Beethoven (l'Appassionata), Haydn e brani popolari, con una cantabilità orchestrale che attinge a piene mani allo stile romantico, a momenti fortemente caratterizzati da quella spiccata personalità del musicista russo capace di aprirsi alle influenze del jazz, alle musiche da cinema, ai temi della danza, con uno stile compositivo che fa della leggerezza un particolare distintivo. Una fantasia imprevedibile e frenata, capace di restituire omogeneità ad un collage di felici intuizioni e costruzioni melodiche ed armoniche, affrontate con quel tono spesso scherzoso e scanzonato capaci di creare immediata empatia con l’ascoltatore.
Nella seconda parte del concerto, sei delle 21 Danze ungheresi (n. 1, 2, 3, 5, 6 e 7) con cui il poco più che ventenne musicista tedesco Johannes Brahms diede vita musicale ad una serie di temi di ispirazione popolari in seguito a dei viaggi in compagnia di Ede Remenyi, violinista ungherese che lo portò a conoscere la musica del proprio paese. Fu l’occasione per scoprire un nuovo mondo che Brahms cercò di mantenere quanto più possibile fedele all’originale. Molte delle danze ungheresi, infatti, sono arrangiamenti di melodie esistenti ispirate a brani folkloristici composti nello stile delle czardas e della musica gitana, caratterizzati da improvvisi e rapidi cambi del tempo. Espressione tangibile dello stile tzigano è la danza n. 5, sicuramente la più conosciuta dell’intera raccolta, che riassume tutti gli elementi tipici della czardas sia in termini di tempo (lento / rapido), di carattere (triste / gioioso) e di sfumature.